La festa di Natale nella tradizione orientale

La festa della nascita di Gesù Cristo, il Natale, dopo la festa di Pasqua, è il momento più importante dell’anno liturgico cristiano, il più solenne, il più denso di significati.

L’origine della festa è occidentale, infatti si è celebrata per la prima volta a Roma nel 330. Successivamente si è diffusa dal IV secolo in tutte le Chiese di rito latino.

Liturgicamente la festa è stata fissata al 25 di dicembre ed è caratterizzata dalla celebrazione di tre messe. La data è stata scelta per contrapporla alla celebrazione pagana del solstizio d’inverno e della nascita del dio Mitra ( Dies natalis solis invicti) che il paganesimo del III e IV secolo festeggiava il 25 di dicembre.

Fino al IV secolo oriente e occidente hanno festeggiato il Natale insieme nel giorno dopo l’Epifania il 7 gennaio.

In oriente il Natale è ritenuto, dopo la Pasqua, la maggiore festa liturgica. Essa fa parte delle sacre teofanie e ciò spiega perché nell’ikona della natività vi sia presente l’irradiamento della "luce trisolare": la manifestazione velata della Trinità, inonda tutto della sua luce. Da qui deriva anche il nome di "festa delle Luci".

In oriente ha nei libri liturgici il titolo di Pasqua, per cui l’anno liturgico sembra snodarsi tra due poli: la Pasqua della Natività e la Pasqua della Resurrezione, e come per la Pasqua di Resurrezione anche il Natale ha il suo periodo di preparazione.

Il ciclo natalizio inizia il 15 novembre con un digiuno che è chiamato "quaresima di Natale".

Le due domeniche precedenti il Natale si ricordano i principali personaggi della Storia della Salvezza, da Adamo a Giuseppe e Maria, quasi a ripercorrere la remota preparazione dell’evento salvifico.

Dal 20 al 24 dicembre vi è il periodo di preparazione prossimo sul modello della Grande e Santa Settimana.

Durante l’ottavario posteriore al Natale si hanno due commemorazioni: il 26 dicembre la Sinassi della Vergine (divina Maternità di Maria) e la prima domenica di Natale si festeggia San Giuseppe.

Il ciclo natalizio si chiude il 31 dicembre mentre il 1 gennaio si ricorda San Basilio il grande, difensore del dogma di Nicea.

Dal punto di vista delle reciproche tradizioni si possono tuttavia rilevare espressioni ed accentuazioni differenti.

In occidente, sotto l’influsso francescano, Natale assume un carattere più pittoresco con la popolare rappresentazione del presepe.

La pietà si intenerisce sull’aspetto umano del mistero: il bambino Gesù, sua madre, Giuseppe il falegname, la festa intima della Sacra Famiglia ( un aspetto sconosciuto in oriente).

In oriente si filtra ogni emotività umana nell’attaccamento rigoroso alla tradizione dogmatica come appare, e lo abbiamo visto, nell’ordine liturgico delle celebrazioni natalizie.

L’oriente ama considerare piuttosto il mistero di Dio, il quale scendendo dai cieli, si inchina verso terra e assume una natura a lui estranea per dare la salvezza all’uomo caduto.

Il monaco Cosma ad esempio così si esprime: "contemplo un mistero meraviglioso e paradossale: la spelonca è cielo, trono cherubico è la Vergine, la mangiatoia è la culla in cui è adagiato Cristo, Dio incontenibile".

Il principio pedagogico fondamentale di questo processo è che la liturgia non è un mezzo, ma un modo di vita che si fonda su se stesso e impone il suo carattere essenzialmente teocentrico.

Si parla meno del piccolo bambino di Bethlem, che del Dio che si fa carne. Partecipando all’azione liturgica, non è su se stesso, ma su Dio, sulla sua magnificienza che l’uomo impara a dirigere la propria vita. Soltanto in secondo luogo e in modo disinteressato che la luce liturgica rimbalza sulla natura dell’uomo e la cambia.

Questo è ciò che ispira e indirizza l’attesa, la catechesi e la preghiera nella tradizione orientale: ciò che si mette maggiormente in rilievo è lo splendore del divino nell’umano.

La preoccupazione pedagogica della tradizione orientale pone continuamente il pensiero dal sensibile al mistero: " colui che, con la sua mano potente, ha creato il mondo, appare il cuore della sua creazione". Da qui si comprende successivamente lo scopo della filantropia divina. Essa si esprime cioè nella Kenosi ( abbassamento) per la dinìvinizzazione dell’uomo.

Per divinizzazione l’oriente intende il fine ultimo di tutta l’opera di salvezza: mediante l’incarnazione è appagato il desiderio di Adamo di essere simile a Dio, e l’uomo può riavere il Paradiso: " Ciò che Adamo non ha saputo raggiungere salendo, Dio lo realizza al suo posto discendendo".

San Germano di Costantinopoli così canta : " Venite rallegriamioci nel Signore proclamando il presente mistero, il muro di separazione è rovesciato, la spada di fuoco si ritira e i cherubini lasciano libero l’accesso all’albero della vita".

Sul mistero dell’incarnazione si fonda la dignità della persona umana poiché è stato necessario che Dio divenisse uomo per restituire all’uomo l’antica immagine e la dignità vertiginosa di Figlio di Dio. A tale proposito Vittorio Messori nel suo libro "ipotesi su Gesù" così afferma: " Grazie al suo concetto centrale di incarnazione di Dio, solo la dottrina evangelica permette la costruzione di un radicale umanesimo. Fino a quanto Dio era uno spirito creatore che viveva immutabile e inaccessibile negli spazi infiniti, era troppo facile sputare sull’uomo. L’uomo era, tutt’al più, la creatura di Dio, non ne era il "figlio", non si identificava certo con lui. Se Dio solo era l’essere perfettissimo, nulla poteva impedire di calpestare quell’essere imperfettissimo che è l’uomo. Ma se Dio si è fatto carne, se Dio è nato ed è stato bambino, se ha giocato tra la polvere delle strade, l’uomo non può più essere schiaffeggiato senza che si schiaffeggi Dio".

La persona umana acquista,ora, un valore incommensurabile: dal momento del concepimento e per sempre.

Nell’Incarnazione si comprende chiaramente il significato, non ancora svelato, dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio. E’ la ri-creazione: la ripresa di ciò che era stato abbozzato in Paradiso.

Dio è nato per noi! E da questo momento chi osa toccare l’uomo, osa toccare Dio; chi osa colpire l’uomo, colpisce Dio; chi osa offendere l’uomo offende Dio. Ma è altrettanto vero che chi onora l’uomo, onora Dio; chi serve l’uomo serve Dio e chi ama l’uomo ama Dio.

Primo soggetto di questo amore nella famiglia è proprio il bambino perché Dio è divenuto tenero bambino. L’odio, l’abbandono, la sofferenza, lo sfruttamento dei bambini sono un’abominio terrificante contro Dio, per il quale sarebbe meglio non essere mai nati!

L’Incarnazione è il fondamento di tutti i valori, quei valori della famiglia, della pace, della dignità umana, della carità e della giustizia, di cui tanto si parla ma senza il senso chiaro della dignità e regalità divina di ogni uomo, rischiano di essere gli astetti relativi e marginali di alcune culture e dei corsi e ricorsi storici.

Ciò che il mistero del Natale può e deve comunicarci in questi tempi di crisi profonda dei valori è che se l’umanità è stata assunta da Dio, ogni aspetto di essa ha acquisito un carattere di profondo valore.

La Natività ha, poi, un aspetto universale, cosmico. Tutti gli esseri insieme agli uomini gioiscono per lo straordinario avvenimento se è vero che " il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone" ( Is. 1,3).

La creazione intera può guardare con speranza alla liberazione dalla schiavitù, cosi che, nella Santa notte la tradizione nei paesi arbereshe racconta che anche gli animali e le piante gioiscono. Agli animali viene attribuito addirittura il linguaggio con il quale possono raccontarsi il prodigio " la luce risplende nelle tenebre". Quella luce che traspare luminosissima dall’ikona della Natività che in Chiesa e nelle case viene esposta per la preghiera e la catechesi.

Va detto anche che l’Incarnazione è l’ora della nascita dell’ikona poiché il Verbo di Dio nella pienezza dei tempi è divenuto immagine per noi, Dio si è reso visibile nell’Unigenito suo Figlio come afferma San Paolo ai Colossesi: "Cristo è l’immagine (eikon) del Dio invisibile". Il suo divenire ikona per noi supera e distrugge definitivamente l’interdizione scritturale di raffigurare Dio invisibile come mirabilmente ci spiega San Giovanni Damasceno: "Quando vedrai colui che non ha corpo divenire uomo a causa di te, allora puoi eseguire la rappresentazione del suo aspetto umano. Quando l’invisibile rivestitosi di carne, diviene visibile, allora, rappresenta l’immagine di colui che è apparso… Quando colui che è l’immagine consustanziale del Padre, si è spogliato assumendo l’immagine dello schiavo, divenendo così limitato nella quantità e nella qualità per aver rivestito l ‘immagine carnale, allora dipingi ed esponi alla vista di tutti colui che ha voluto manifestarsi. Dipingi la sua nascita dalla Vergine…, dipingi tutto con la parola e coi colori nei libri e sulle tavole".

Con il Natale l’immagine di Dio non è più un’immagine innaccesibile alla vista, ma l’immagine di Gesù Cristo: negare l’immagine di Cristo, significa negarne l’esistenza storica. Per questo l’ikonoclastia è stata combattuta ed ecco perché l’ikona del Natale insieme alle altre ikone viene esposta e venerata.

La manifestazione della Bellezza divina deve trasformare la sensibilità, l’immaginazione: il cuore stesso dell’uomo, e in un tempo, come il nostro, in cui c’è un continuo bombardamento di immagini positive o negative proposte dai mass-media, quanto mai è necessario ricondurre la mente e l’immaginario verso una prospettiva di crescita e di vera liberazione.

L’ikona ha questo straordinario potere in essa ci viene manifestato il Redentore, il Salvatore del mondo come fonte e principio della bellezza divina, ma anche l’immagine di uomini trasfigurati, trasformati dalla sua opera redentrice e salvatrice.

Questa manifestazione della Bellezza e del mondo da essa trasfigurato chiama tutti gli uomini ad essere trasformati ( effetto terapeutico). Per questa ragione l’ikona non solo è un ausilio alla catechesi familiare ma uno strumento ad essa necessario.

Il linguaggio iconografico, senza parole, senza suoni si propone ineffabilmente attraverso la visione, il massimo delle beatitudini ( "se squarciassi i cieli e scendessi"), lo scopo di questo linguaggio non è quello di rivolgersi alla ragione per convincere, per spiegare; ma quello di illuminare l’uomo e il suo cuore della Luce divina. La Bellezza, infatti, non ha bisogno di essere spiegata, essa nella sua magnifica evidenza si fa contemplare e trasfigura.

Ecco l’ikona della Natività.

Il modello della Natività è probabilmente un’immagine nella chiesa costruita da Costantino sul luogo della Natività. I pellegrini, ritornando dalla Terra Santa, riportavano dell’olio santificato in una ampolla dove figurava già questa immagine nei suoi tratti essenziali ( IV e V sec.)

Essa ripercorre con semplicità e chiarezza i tratti essenziali del racconto evangelico, ciò che annuncia il Vangelo l’ikona lo ripropone con le figure e i colori.

In alto il triplice raggio che si incontra anche sull’ikona dell’Epifania. L’unico raggio che esce dall’alto significa l’essenza una di Dio, uscendo dalla stella si divide, poi, in tre lampi per indicare la partecipa delle Tre Persone all’economia della salvezza: " il cielo e la terra, in questo giorno si rallegrano profeticamente. Angeli e uomini, esultiamo!" " Cielo e terra oggi si uniscono. Oggi Dio è venuto sulla terra e l’uomo e risalito ai cieli!"

Le tre montagne raffigurate hanno anch’esse una particolare simbologia. La montagna al centro simboleggia il Cristo: è la montagna messianica che si ergerà contro quella di Sion poiché "il monte della casa del Signore sarà stabilito in cima ai monti" ( Is. 2,10 –32).

Ai piedi di questa montagna messianica è distesa la Vergine "Aurora del giorno mistico" rivestita della porpora regale, La Basilissa (regina), sfinita poggia la testa sulla mano ed il suo sguardo è perduto nella contemplazione del Vangelo della salvezza: " Ella serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore". E’ colei in cui tutta l’umanità ha pronunciato il "fiat", quel "si" di cui Nicola Cabasilas spiega efficacemente il senso: " l’Incarnazione fu non solo l’opera di Dio, ma anche l’opera della volontà e della fede della Vergine… come s’incarnava volontariamente così voleva che sua madre lo generasse liberamente e col suo pieno consenso" ( omelia sull’Annunciazione).

Nella parte superiore dell’ikona, a sinistra, vi sono tre Angeli che con le mani velate s’inchinano in segno di adorazione; altri tre sono posti a destra, uno di essi si rivolge ai pastori che si trovano un po’ in basso.

Al centro dell’ikona si spalanca una voragine nera che penetra nelle viscere della terra, essa raffigura simbolicamente gli inferi. E’ infatti la stessa voragine che viene rappresentata nell’ikona della Resurrezione ed è forse l’espressione più incisiva del prologo del quarto Vangelo: " la luce splende nelle tenebre" ( Gv. 1,5). Simbolicamente è espresso che i cieli s’inchinano fin nel profondo degli abissi, nelle profonde tenebre del peccato per salvare l’uomo alla radice.

Nella grotta, posto nella mangiatoia, il Bambino è fasciato a guisa di un morto. Le fasce sono il riconoscimento che l’Angelo diede ai pastori ( Lc. 2,13), ma qui stanno ad indicare le bende che le donne mirofore, Pietro e Giovanni trovano nel sepolcro vuoto.

All’interno dell’antro vi sono il bue e l’asino, essi rappresentano simbolicamente i Gentili; il bue, infatti, figura il culto idolatrico e l’asino la lussuria. Esprimono inoltre un monito per Israele, dice Isaia: " il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, Israele, invece, non comprende, il mio popolo non ha senno. (Is. 1,5).

Nella parte inferiore, a destra dell’ikona troviamo due donne ( Vangeli apocrifi: Eva e Salomè) che provvedono al bagno del bambino.

Il gesto del bagno sta a sottolineare un’azione umana e con essa la vera e non apparente umanità di Cristo. Il bagno prefigura anche il Sacramento del Battesimo.

Accanto alla scena del bagno vi è un’altra scena, quella del dubbio di Giuseppe, il volto del quale esprime visibilmente il turbamento e l’angoscia. Davanti a Giuseppe sta il diavolo nelle sembianze del pastore Tirso che nutre ulteriormente il turbamento.

Nella persona di Giuseppe l’ikona racconta un dramma universale che si ripropone attraverso i secoli: il dubbio di tanti che non si lasciano illuminare della fiducia nel Vangelo.

Nella parte superiore sinistra si vedono i magi , essi indicano la stella che due anni prima avevano osservato in Persia: la tradizione dice che appena videro l’astro tennero dietro al suo fulgore, l’ebbero come faro che li guidava verso il prodigio.

I magi sono figura di tutti gli uomini fuori dell’Antica Alleanza che nonostante non appartenessero a Israele erano cari al Signore. La loro venuta ha anche un altro significato: con Gesù ha fine per sempre ogni discriminazione razziale, poiché Egli agirà a beneficio di tutti gli uomini e di tutti i popoli e con Lui ha inizio il Regno universale ed eterno, contraddistinto dalla pace, dalla giustizia e dalla liberazione.

Gli inni liturgici bizantini del Natale riprendono poeticamente il messaggio iconografico finora trattato:

" La Vergine dà oggi alla luce l’Eterno e

la terra offre una grotta all’Inaccessibile,

gli Angeli cantano gloria con i pastori,

i Magi camminano con la stella, poiché

per noi è nato tenero Bambino, il Dio

di prima dei secoli". ( San Romano il Melode)

" E noi che possiamo offrirti, o Signore?

Ogni creatura che vive ti rende grazie:

Gli angeli ti offrono il canto,

i cieli la stella,

la terra, la grotta

il deserto una mangiatoia.

Noi, una Madre vergine!"

Buon Natale a Tutti!

Giovanni Mimmo Rizzo


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