CONSIDERAZIONI GENERALI SU ALCUNE COMUNITÁ ALBANESI DI CALABRIA CITRA.

La venuta degli albanesi nella nostra penisola è distinta nella storiografia arbëreshë in stanziamenti ed emigrazioni dalla patria d’origine,l’Albania,in seguito alla morte di Skanderbeg e alla caduta dell’Albania in mano ai Turchi,approdarono nelle coste dell’Italia meridionale e si posero sotto la protezione e giurisdizione dei locali feudatari,laici ed ecclesiastici.Così gli albanesi si insediarono nel casale di Lungro abitato dalle maestranze addette alla miniera del sale,casale di pertinenza della Badia Basiliana di Santa Maria delle Fonti,altri in Acquaformosa dipendenze della Badia Cistercense di San Leone,altri in Firmo pertinenza dei Domenicani di Altomonte,altri si stabilirono in territorio di pertinenza della Badia basiliana di San Basilio Craterete soppressa nel 1468 ed aggregata alla sede vescovile di Cassano,altri in Frassineto e Civita pertinenza dello stesso vescovado.A parte i motivi che spinsero i profughi a cercare ospitalità nell’Italia meridionale,diverse sono le congetture relative ai motivi dell’ubicazione e dell’insediamento delle comunità in luoghi tra essi discontinui e decentrati quasi sempre però in casali preesistenti costruiti e abitati da elementi indigeni ed in quel tempo in parte spospolati.Abbandonate le coste allora infestate dalla malaria ed insicure per le possibili incursioni,gli albanesi si inoltrarono nell’interno continentale e si arroccarono generalmente in luoghi montagnosi spesso impervi e difficili ma dove trovarono spazio di vita.Sparsi in gruppi separati nel territorio abbastanza vasto dell’estremo meridione d’Italia in condizioni di grave disagio per l’amarezza dell’esilio compatibilmente con le possibilità zonali e le difficoltà e le ristrettezze dei tempi vennero accolti dai fuedatari secondo gli e le consuetudini vigenti,in qualità di affidati ed in condizioni di vassallaggio.Edificarono le loro capanne e i loro pagliai nelle località loro assegnate.provenendo da una regione economicamente depressa e più povera,montagnosa ed impervia dove l’unica fonte di economia era costituita dall’agricoltura e dalla pastorizia,essendo essi per la maggior parte agricoltori e pastori dedicarono tutta la loro attività e le loro cure alla coltivazione dei campi e all’allevamento del bestiame,attività prevalenti o esclusive anche nell’Italia Meridionale.Così mentre gli albanesi si avvantaggiarono delle concessioni di favore ,i feudatari si avvantaggiarono delle loro prestazioni operaie.Potremmo concludere dicendo che i profughi albanesi giunti nella Calabria Citra in gruppi ed in fasi successive ma nel periodo in cui nell’Italia meridionale nel quadro politico di una monarchia istituzionalmente unitaria resistevano solide ancora le strutture economiche e sociali del feudalesimo,si posero in rapporto vassallatico sotto la giurisdizione di vescovi,abati,si insediarono per lo più in casali abbandonati o quasi dai precedenti abitanti spinti all’esodo forse da altre prospettive,casali che si ripopolarono con l’apporto di mano d’opera.L’insediamento degli albanesi nei feudi venne venne facilitato dai feudatari che ne trassero vantaggio.Tenuto conto della generale povertà dei luoghi scarsamente feraci per di più impervi ,boscosi e silvestri ,tenuto conto dei gravami delle prestazioni,degli obblighi le condizioni di questi coloni dovettero essere abbastanza dure e precarie specialmente all’inizio.Isolati nei loro casali per la gran parte dell’anno eccettuati i pochi rapporti di necessità e la partecipazione a qualche fiera stagionale legati alla terra unica fonte di reddito e di risorse economiche vissero per lungo tempo una vita soltanto locale,patriarcale,semplice,monotona,disarticolata nell’uniformità dell’unica attività agicola che divenne sempre più proficua.Con l’andare del tempo sostituirono per le mutate condizioni di vita i primitivi pagliai e le misere capanne con abitazioni se pur modeste ma di pietre e calce.Assoggettandosi al pagamento di canoni per l’uso dei corsi d’acqua gli albanesi costruirono anche dei mulini che gestirono in proprio accantoa quelli badiali e baronali e si dedicarono in alcune zone alla coltivazione dei gelsi.Le primitive concessioni si trasformarono e dalla determinazione del canone in natura si passò alla determinazione in denaro

Con maggiore libertà e disponibilità di uso delle terre da parte dei concessionari procedendo verso forme di economia più aperta ,si intervenne ad una più larga concessione di usi civici sui territori di riserva che con l’eversione dei feudi costituirono i territori demaniali comunali.Si costituirono le "Universitates" cittadine che affermando e rivendicando le loro autonomie sottrassero a loro vantaggio una serie di diritti pubblici e privati. La trasformazione dei rapporti si tradusse in una nuova strutturazione fondiaria.Non si può prescindere dal non considerare una nota particolare sul mondo arbëresh espresso ancora a distanza di secoli nella genuinità dei suoi motivi e caratteri tradizionali la realtà storica,spirituale è un processo di meravigliosa combinazione di due elementi l’Italico e l’Albanese.Tra le comunità albanesi isolate nei loro casali arrampicati tra le colline continuò e continua a vivere quel naturale orgoglio della stirpe maggiormente sentito nella tristezza dell’esilio,il ricordo del passato glorioso ,nello splendido dono dell’epopea della quale i padri erano stati protagonisti ,espresso dalle ricchezze popolari che fiorirono con spontaneità di sentimento e con i quali i profughi alleviarono le durezze della fatica giornaliera continuò a vivere l’arbrì nella comunità delle tradizioni avite,nei canti sacri,nella liturgia,nel rito,nelle costumanze di vita e nella dolcezza della lingua materna.Diversi fattori storici,etnici,psicologici concorsero insieme alla conservazione nel tempo nella primitiva genuinità nonostante il processo di totale inserimento degli italo-albanesi nella vita e nella storia d’Italia di questo retaggio di spiritualità dal quale trasse ispirazione il canto di Girolamo de Rada.

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